Progetti e tecniche di conversazione
Grazie dell’incoraggiamento, e proseguo!
Proprio perché le conversazioni possono essere di diversi tipi, l’importante è chiarire bene gli obiettivi. E chiarirli non solo all’interno, tra azienda e agenzia, ma alle persone che si invitano. Di solito brand e agenzie parlano tra loro e si fermano a un generico “vogliamo che si parli bene di questo nuovo prodotto” oppure “vogliamo creare una reputazione in rete”, ma questo non è sufficiente. Cosa rappresenta quel prodotto, cosa evoca, che tipo di reputazione vuole costruire? Perché si crei una relazione positiva con le persone bisogna andare al di là dei prodotti (le caratteristiche esteriori e le performance, che pure sono importanti) e individuare i valori (sì, i valori in cui si crede, le emozioni profonde: i brand più amati sono quelli che costruiscono un mondo di valori e sensazioni in cui le persone si riconoscono, tanto che senza di loro la loro vita non sarebbe la stessa. Se sto esagerando avvisatemi, ma questa è stata per me l’essenza più bella delle cose che ho imparato nei miei primi quindici anni di vita professionale).
L’importante è, secondo noi di TTV, che qualunque sia l’obiettivo venga dichiarato in modo trasparente per la community e dia luogo ad una vera conversazione, non solo apparente. Le persone dell’azienda dovrebbero sempre leggere e commentare, farsi sentire presenti. Spesso bastano 10 minuti al giorno, per creare uno spirito di squadra positivo. Ma veniamo qui a una criticità essenziale, chè anche gli obiettivi da soli non bastano: la motivazione. Bisogna sempre chiedersi perché. Perché dovrei farlo? Perché dovrei fare “squadra” con un brand, collaborare, fare il loro consulente? Cosa me ne viene? Io dedico il mio tempo a una conversazione, e loro in cambio cosa danno (a me, alla community)?
Ecco. E’ un discorso delicato, soggettivo, e importante. Le motivazioni e i ritorni possono essere tanti e diversi per ciascuno di noi. E’ spesso quello che le aziende, specularmente, mi chiedono: ma perché tutta questa gente sta sui blog? Cosa ci trova? E già, vaglielo a spiegare. E perché noi consumatori dovremmo voler parlare con quegli avidi sfruttatori delle aziende? Qui forse posso provare a lavorare un pochino io.
Come: chiarendo gli obiettivi, contattando le persone giuste, dando loro delle motivazioni valide, predisponendo l’ambiente, le meccaniche dell’operazione e le tecniche adatte, e una volta partita la conversazione, rispettandone le regole e i sani principi (educazione, coerenza, trasparenza etc etc..solo su questo ci vorrebbe un libro 🙂 ). Meglio ancora se le persone possono dire la loro già nella fase di definizione delle meccaniche. Queste sono svariate e per fortuna evolvono costantemente in modo nuovo e creativo: brainstorming o focus group online, storytelling collettivo, recensioni oppure diari di uso di un prodotto, eventi e incontri offline, e chi più ne ha più ne metta. Spesso vediamo, come Barbara ben sa, decine di queste operazioni per cui riceviamo segnalazioni e ci sembrano tutte uguali, tutte svilenti, tutte marchette insomma: non perché gli strumenti non siano validi e divertenti ma perché sono solo strumenti, e nessuno si è preso la briga di coinvolgere adeguatamente le persone (almeno le persone chiave) negli obiettivi e nei valori del progetto, insomma nessuno dà loro un valido perchè.
E veniamo finalmente ad alcuni esempi concreti di progettazione che ho gestito, insieme a Giuliana, come “entità” TTV.
Progetto: Sai come me lo immagino, azienda Nestlè, area Ricerca/Sviluppo (ricordate la differenza tra ricerca, sviluppo, comunicazione), obiettivo: ridisegnare un sito web per Nesquik più moderno e in linea con le esigenze degli utenti.
Meccanica: consultazione aperta di una community di consumatori in un “cantiere” pubblico online, a cui ci si iscrive come un social network.
Obiezioni: fate lavorare la gente gratis e svilite chi i siti li fa di professione. E poi bisogna boicottare Nestlè perché sono dei criminali, non importa cosa fanno e cosa dicono.
Risultati: un briefing tra brand, agenzia, noi di TTV e alcuni rappresentanti della community negli uffici di Nestlè, da cui nasce un nuovo sito che è una specie di beta permanente, in cui vengono pubblicati i video nati da un’idea discussa durante la riunione, video dal contenuto interessante che danno luogo a una conversazione su Genitori Channel , il che porta a un’intervista a Nestlè su alcune questioni delicate che erano state sollevate… Come dicevo, una conversazione può essere innescata ma poi prende le direzioni che vuole.
Osservazioni: perché in molti hanno partecipato a questa conversazione? Forse perché ritengono motivante che la loro opinione venga considerata attentamente da una grande azienda e usata per fare un sito migliore (attenzione, qui nessuno si èimpegnato professionalmente a progettare il sito, i partecipanti erano liberi di entrare e uscire, e commentare quando e quanto volevano). Forse perché hanno ricevuto per ringraziamento un omaggio simpatico (ma non credo che basti a giustificare il loro tempo). Forse perché il valore creato insieme al brand andava a vantaggio non solo del brand, ma della community di genitori online che nei siti per bambini preferisce trovare alcuni servizi. Continuate voi..
Regole di condotta? Io direi la libertà di espressione, la libertà di decidere come e quanto partecipare, di uscire. Per l’azienda, l’ascolto e la partecipazione come dicevio prima. Continuate voi..
Un altro esempio (Sviluppo di una comunicazione) è stata la pubblicità di Restivoil, uno spot TV creato dall’inizio alla fine in un blog, con degli utenti che condividevano un requisito importante per la rilevanza del prodotto: la cute sensibile. Un altro esempio ancora di Ricerca, appena partito, è una conversazione con Mister Baby, che sarà presto su TTV e chiederà a un po’ di mamme delle informazioni importanti per definire il posizionamento di questo prodotto (ne parlo qui).
Secondo caso emblematico per polemiche, circa un anno fa: Progetto Mamma che ridere, brand Huggies, area comunicazione. Obiettivo: far sentire Huggies come il brand vicino alle mamme..imperfette (sapete quanto sia significativa e anche abusata questa espressione, per cui non mi dilungo).
Meccanica: dai blog che partecipano viene tratto uno spettacolo comico portato in scena a Milano, per ridere sulla maternità. Vengono invitate a discutere il progetto alcune mamme blogger, che aderiscono e partecipano a un incontro con l’attrice e la sua autrice, poi lanciano l’iniziativa dai loro blog, regalano pannolini alle commentatrici più argute e infine si ritrovano insieme a un altro migliaio di spettatrici tra tante altre blogger e lettrici, la sera dello spettacolo.
Obiezioni: boicottaggi vari di adfree blogs (ma quando il responsabile Huggies ha commentato come è buona creanza, dicendosi disponibile al chiarimento, si è visto sbattere la porta in faccia), il teatro vero è altro (e chi dice di no), ci prendete in giro per un pacco di pannolini, lo spettacolo è già pronto (falso!)….ect etc etc. Dibattito inevitabile e anche utile quando si tratta di operazioni complesse, purchè sia chiaro il limite tra proposta costruttiva e offesa personale.
Osservazioni: se qualcuno si sente sfruttato, semplicemente non partecipa. Chi partecipa lo fa per ridere, per fare networking, per vedere uno spettacolo, per curiosità, per conoscere un’attrice in un meeting a Milano, per vedere le amiche a teatro. Chi è molto consapevole di tutto il progetto partecipa perché l’idea di mamma imperfetta è meritevole di diffusione in sé, contro gli stereotipi di certe pubblicità. Ma non certo perché viene ingannato sugli obiettivi dell’operazione: ridere insieme a un brand.
Anche qui conta la volontarietà dei contributi, la libertà di critica (certe volte moderare una discussione privata tra le blogger, l’agenzia e il brand è una vera impresa 🙂 ) , e una cosa che abbiamo imparato, bisogna gestire con grande attenzione lo spazio privato (blog) delle persone. Il banner di Huggies messo in cambio della partecipazione alla promozione può essere “troppo”? Quando è uno spazio pubblicitario va retribuito come tale? Sì, ne abbiamo tratto spunti molto importanti. Fornire battute per uno spettacolo è un lavoro? Se non è obbligatorio, se è offerto in cambio di prodotti e/o menzione su una locandina teatrale, insomma se non è sotto contratto, se è fatto per puro piacere personale forse non può essere considerato tale.
Risultati a oggi: le blogger iniziatrici di Mamma che Ridere sono ancora in contatto costante con il brand e stanno dando il loro input per altre iniziative editoriali che stanno per arrivare, in cui loro avranno un ruolo chiave. Noi faremo in modo che il canale e le idee non si esauriscano, perché le vere conversazioni sono quelle che non si limitano a una promozione come Mamma che Ridere, ma continuano. Insomma Le conversazioni di successo sono quelle che non finiscono, soprattutto quelle sulla maternità!
Sapete, io e Giuliana veniamo invitate ormai a vari Master e tavole rotonde per parlare di queste esperienze. Il mondo degli operatori dei social media è avido di learning e best practice: dateceli, e diamoglieli noi! Ma attenti a non confonderci tra obiettivi di ricerca, di sviluppo, di comunicazione, e tra obiettivi e strumenti. Di solito ci mostrano solo quest’ultimo pezzo (gli strumenti di comunicazione nel web), noi invece vorremmo mettervi in condizione di dire la vostra molto prima.
Flavia Rubino
www.thetalkingvillage.it
molto molto interessante, grazie Flavia!
Mi sarei aspettata un fervido dibattito! Dove sono i fieri avversari del marketing nei blog?
Io credo che quando le cose si spiegano per bene (cioè esplicitando motivazioni, valori obiettivi e strumenti) e la comunicazione è trasparente non ci sono fraintendimenti.
Secondo me i problemi nascono quando manca trasparenza da parte dei blogger o delle aziende (a volte ho l’impressione che ALCUNE ‘sfruttino’ i blog minori approfittando dell’inesperienza e dell’ingenuità dei principianti, ma forse mi sbaglio!).
Se tutto è chiaro e fatto ‘alla luce del sole’ non ci possono essere problemi. Più volte qui su mommit abbiamo convenuto, anche con chi mantiene il suo blog ad-free, che chi fa del blog una professione non può non ricavare in qualche modo un utile dal suo blog, e anche chi lo fa per hobby e si presta a qualche collaborazione deve poter ricevere in cambio la giusta ricompensa (in visibilità, omaggi o soldi) per il lavoro che fa, quindi… forse è per questo che non è scattato il dibattito. Io credo invece che articoli come questi siano decisamente interessanti e utili per capire un po’ più a fondo la questione, grazie Flavia!
In realtà abbiamo scoperto che non ci sono avversari del marketing, ma solo della non-trasparenza. La cosa bella che ho percepito su Mommit è proprio questa: che quelle che sembravano ‘fazioni’ non lo sono, perchè chiunque di noi, sia adv-free sia adv-pro, abbiamo tutte solo un’esigenza: mantenere un rapporto di onestà verso i lettori, e poter scrivere liberamente senza condizionamenti.
ti faccio una domanda antropologica, posto che questi tuoi guest post mi interessano molto e comunque non sto esprimendo un giudizio di valore sulle operazioni (ci mancherebbe).
secondo la mia esperienza a dire il vero modesta, quando si parla per conto di un’azienda magari anche micro, si pesa ogni parola, sia nel commerciale, che nell’assistenza clienti, che….che…che…. e allora mi chiedevo quanto conviene a un’azienda che il web e altri soggetti non autorizzati parlino di lei, sia attraverso post sponsorizzati che scatenano spesso commenti negativi solo parzialmente controllabili, sia in un modo ancora più incontrollato, cioè quando un blogger che NON è in nessun contatto con quell’azienda parla male non di un prodotto (cosa anche legittima: se una cosa mi fa schifo perchè non dirlo?), ma del modo stesso dell’azienda di fare marketing, quindi ponendo dei dubbi sull’etica, la mission, la bontà di quell’azienda. Non so se mi sono spiegata. Cioè, ha davvero senso conversare o è pericoloso? la pubblicità televisiva (che io aborro e infatti non ho la tv) passa per vera senza possibilità di critica, perchè un’azienda vuole cambiare il sistema se rischia di venire demolita?
Beh Polly, quello che dici è la sostanza della rivoluzione del web! Non sono le aziende che hanno voluto cambiare il sistema, sono le persone come noi, come voi, che hanno cominciato a farlo spontaneamente e liberamente dal basso, esprimendo opinioni. A questo punto le aziende si chiedono: facciamo finta di niente e continuiamo con gli spot TV, o scendiamo tra la gente nei social media e parliamo con loro? La seconda che hai detto, perchè ormai se non ci sei sei “fuori”. Solo che devi esserci nel modo giusto…di qui tutti gli esperimenti, gli errori, gli scivoloni, le creatività, i successi e gli insuccessi. Ma è come parpecipare a un cambio di era geologica, è bello.
Ciao, sono Elena e lavoro in FattoreMamma. Anche dal nostro “osservatorio” ci siamo accorti che la rivoluzione è già cominciata, forse senza che le aziende (o almeno alcune) lo volessero…
La rete ha creato delle occasioni di confronto e di circolazione delle idee prima inimmaginabili, quindi i consumatori (e la mamme più di ogni altro) hanno cominciato spontaneamente a dare i loro pareri positivi o negativi sui prodotti e sui comportamenti delle aziende.
E’ su questa realtà che le aziende devono fare i conti: alcune fanno finta di niente, altre intervengono solo quando si parla male di loro, altre (le più illuminate) hanno capito che coinvolgere le mamme può essere un’occasione per creare valore in modo condiviso. Secondo noi questa è la VERA strada!
io per ora parlo poco perchè sono davvero una blogger appena nata quindi per ora “leggo e imparo”. Concordo che la trasparenza deve essere l’esigenza di tutte e confermo anche che chi si tuffa in questo mondo da neofita, come me, viene colta da entusiasmo dilagante di dire, partecipare, sentirsi parte di una community che esprime i suoi pensieri e questo entusiamo potrebbe essere cavalcato dalle aziende per ottenere qualche beneficio non in maniera trasparente e “agratis”. Quanto all’ultimo quesito credo che le aziende non possono fare a meno di conversare, il tam tam della rete è un canale che non si può sottovalutare anche se questo costa assumersi qualche rischio
Cara Flavia, pienamente d’accordo con tutto quanto dici. Aggiungo una riflessione in merito a Nestlé e all’intervista di Genitori Channel: la conversazione non può essere tra persone e “brand”. La conversazione è tra persone e persone e le aziende sono fatte di persone. Per poter entrare nella conversazione le aziende devono lasciare alle loro persone la parola, e le persone ovviamente ci mettono la faccia. Devono avere il coraggio. Perchè allora sì che tutto riacquista la dimensione umana della conversazione, che non significa pensarla allo stesso modo ma parlare civilmente, ribadire le proprie scelte e posizioni guardandosi negli occhi e, se possibile, rispettandosi in quanto persone. Non mi piacciono le aziende che anche nei social media continuano a comunicare come brand. Io non mi iscrivo a FB o a Twitter per dialogare con un brand…
Ciao Flavia.
Visto il rapporto tra di noi non c’è molto da dire se non che questo post ha il pregio della chiarezza, esplicita concetti che forse in partenza davamo per scontati. Quindi, riciclalo al prossimo kick-off!